L'economia del castagno

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Metato a Castiglione Garfagnana ESCAPE='HTML'

Sin dall'epoca alto medioevale, come si riscontra in numerosi documenti, la coltura del castagno era una delle attività principali di questi luoghi. La natura del suolo e le condizioni climatiche caratterizzate da elevata umidità, costituirono un habitat ideale per questa pianta il cui frutto ha rappresentato il cibo principale per la popolazione e ha contribuito in maniera decisiva alla sua sopravvivenza durante i periodi di carestia o di guerra. In considerazione dell'importanza di questa pianta gli antichi statuti della comunità castiglionese dettavano precise norme per la tutela del castagneto e per il suo utilizzo, soprattutto nel periodo della raccolta. L'importanza della pianta aveva portato il governo lucchese ad istituire, nel 1489, un'apposita magistratura "l'Offizio sopra le selve" col fine di tutelarle. Fu in vigore fino a tutto il 1800 e riguardava sia i proprietari sia i forestieri ed erano previste pene severe per i trasgressori.

Svariate erano le qualità di castagne coltivate, tra le più diffuse, le morone, le carpinese, le ponticose e le mazangaie. Nelle selve i terreni più impervi erano terrazzati perché le acque piovane scorrendo non portassero via le castagne. In primavera il castagno subiva la "rimondatura" erano in pratica tagliati i rami secchi e vecchi, parti inutili, che avrebbero solo tolto nutrimento alla pianta. In estate iniziavano le operazioni di pulizia delle selve. Era tagliato il sottobosco costituito in gran parte da felci e ginestre affinché i frutti, una volta a terra, fossero ben visibili. Agli inizi di ottobre quando i ricci si aprono e le castagne cominciano a cadere, aveva inizio la raccolta. Era proibito portare a pascolare nelle selve capre e pecore, ghiotte di questo frutto, così i greggi erano allora trasferiti più in alto dove il bosco di faggio si sostituiva al castagneto. 

Raccolta delle castagne negli anni '50 ESCAPE='HTML'

Questo periodo iniziava il giorno di San Michele (il 29 settembre) e durava fino a che la raccolta non fosse terminata. Quest'ultima vedeva impegnati tutti i membri della famiglia contadina, anche i ragazzi. I cardi ancora chiusi erano aperti percotendoli con un attrezzo a forma di martelletto detto "martella", e le castagne erano raccolte in una tasca dell'apposito grembiule, indossato dal raccoglitore; quando questa era piena era vuotata in sacchi di tela di canapa. Quando il raccolto vero e proprio era finito, iniziava il "Ruspo": i più poveri del paese potevano andare a raccogliere le castagne che erano rimaste. Questo avveniva prima che la comunità desse via libera al "Rumo" dei porci, cioè al permesso di mandare gli animali nelle selve. I frutti che non erano consumati freschi, cioè bolliti in acqua per farne "ballucciori" o arrostiti sul fuoco in una padella traforata (le mondine), erano portati al seccatoio detto "metato". Quest'ultimo era un piccolo edificio situato nelle selve, all'interno, a circa un metro e ottanta dal suolo, sopra travi di legno era posto il "canniccio", una serie d’assicelle vicine l'una all'altra su cui, attraverso una finestrella era steso uno strato di castagne. Sul pavimento del piano terra si accendeva il fuoco, che era coperto dalla pula perché la combustione avvenisse lentamente e alimentato di continuo; il calore doveva mantenersi costante giorno e notte per un periodo variabile dai 25 ai 40 giorni. Quando le castagne dello strato inferiore erano secche venivano "voltate" cioè si cercava di rigirarle poche per volta in modo da mandare quelle più fresche sotto. Durante questo periodo, che necessitava una continua presenza per sorvegliare ed alimentare il fuoco, il "metato" diventava punto di ritrovo, dove si faceva festa.

Fine raccolta castagne ESCAPE='HTML'

Completata l'essiccazione veniva spento il fuoco, pulito il pavimento e smontando parte del "canniccio" le castagne cadevano sul pavimento. Iniziava allora l'operazione della "pistatura" per privare il frutto della buccia ormai secca. Le castagne erano messe dentro sacchetti stretti e lunghi "le taschette", confezionati con robusta tela di canapa; quindi iniziava la battitura. Questa avveniva all'aperto, sotto la loggia di cui ogni "metato" era provvisto, battendo le "taschette" con movimenti ritmici su un grosso ceppo di legno rotondo e liscio affinché la tela non si rompesse. La buccia secca della castagna si rompeva lasciando libera la polpa bianca. Terminata l'operazione le "taschette" erano svuotate nella "vassoia" (un recipiente di legno) per la mondatura tradizionalmente effettuata dalle donne. Quest’operazione separava la polpa essiccata della castagna dai residui della buccia e della "pecchia", la pellicina che ricopre il frutto. Al termine del lavoro, le castagne venivano riposte in "scrigni" (cassoni di legno) tenuti in luoghi asciutti ed utilizzate per il consumo familiare: una parte inviata al mulino per essere macinata e trasformata in farina, l'altra lessata per fare le "tullore", da mangiare col latte. La farina, era pressata entro casse di legno dove si conservava fino alla nuova raccolta. In questo periodo costituiva il cibo principale della famiglia contadina veniva per lo più consumata come polenta oppure impastata e cotta con vino per fare la "vinata", o in forno con olio e burro guarnita con noci e pinoli come torta chiamata "castagnaccio". Oltre al frutto la pianta del castagno ha avuto grande importanza nell'economia di queste terre per il legno, utilizzato nella costruzione delle case e dei mobili che le arredavano, nella realizzazione di gran parte degli attrezzi da lavoro, generalmente prodotti direttamente dall'utente. I rami giovani delle piante erano utilizzati per l'intrecciatura di corbelli e le foglie secche per preparare la lettiera degli animali nella stalla.

 

Il lavoro al metato: foto di Adriano Marcalli